IL VERO UOMO VITRUVIANO

Ma qual è esattamente il significato di questo disegno e per quali ragioni è così importante, tanto da essere considerato uno dei simboli del Rinascimento? 

Rappresentazione dell'Homo vitruviano  “homo bene figuratus”, trattata da Cesare Cesariano De architectura 1521 volume a stampa, Milano
Rappresentazione dell'Homo vitruviano “homo bene figuratus”, trattata da Cesare Cesariano De architectura 1521 volume a stampa, Milano

Quello che vediamo disegnato sul foglio è un corpo umano inscritto in un cerchio e in un quadrato non si trattava di un’invenzione leonardesca.

La storia di uno dei disegni più famosi del mondo inizia nell’antica Roma, e per la precisione verso la fine del primo secolo avanti Cristo, quando un celebre teorico dell’architettura del tempo, Marco Vitruvio Pollione, ovvero Marcus Vitruvius Pollio (80- 23 a.C.), un grande architetto, ingegnere militare e un interessante scrittore romano del I sec. a.C., ma soprattutto il primo e più famoso teorico dell’architettura di tutti i tempi, scrive il trattato che avrebbe consegnato il suo nome alla storia: il De architectura, un’opera in dieci Libri in cui l’autore offre una panoramica completa sull’arte dell’architettura. 

La controversa storia del De architectura, viene raccontata, passando attraverso il ritrovamento in Inghilterra del testo originale e poi alle sue prime trascrizioni, dai primi tentativi di interpretazione, alle prime traduzioni, senza dimenticare che sfortunatamente, per non meglio dire stranamente, il primo testo originario andava smarrito. Sparizione senza la quale gli illuminati dell’epoca non avrebbero potuto dare al suo reale contenuto una forma e una interpretazione strettamente legata a ciò che, in quel momento, era ritenuto più opportuno dire e scrivere.

Molti hanno sottolineato la stranezza che, in allegato al trattato originale, oltre alle numerose illustrazioni che lo corredavano, non si trovassero quelle riguardante l’Uomo vitruviano, un fatto decisamente non di secondo piano, ma essenziale per una corretta interpretazione dell’intera opera di Vitruvio. 

Nel terzo Libro, Capo I, Vitruvio dice che non può esistere un tempio od altra opera che non sia regolato da principi di armonia, ordine e proporzione tra le varie parti della costruzione e lo stesso vale per il corpo umano.

Vitruvio utilizza l’espressione “homo bene figuratus” tale sarà solo se le misure delle parti del suo corpo corrisponderanno a dei canoni precisi. 

Proprio questa è la parte in cui Vitruvio parla di misure, proporzioni e rapporti necessari da seguire per realizzare un’opera “a regola d’arte”.

Qui di seguito il testo del Capo I, tradotto da Cesare Cesariano dal latino nella lingua italiana volgare che veniva parlata nel Cinquecento.

 

Capo I:

“De la compositione de le sacre aede et de le symmetrie et mensura del corpo humano

La composizione de le aede consta de symmetrie le ratione de la quale diligentissimamente li architecti deno tenire. Ma questa si aparturisse da la proportione: quale graecamente analogia si dice. La proportione si è de la rata parte de li membri in ogni opera et del tuto la commo- dulatione da la quale si effice la ratione de le symmetrie. Imperoché non po alcuna aede senza simmetria et anche proportione habere la ratione de la compositione se non como a l’imagine de uno homo ben figurato de li membri haverà havuto exacta la ratione. Per che il corpo del homo così la natura lo ha composito, che la facie del capo dal mento a la summa fronte cioé in fine a le basse radice del capillo sufse de tuto il corpo la decima parte. Similmente la palma de la mano dal articulo a la extremitate del digito de mezo gli sia altro tanto. Il capo dal mento a la summitate de la vertice si è de la parte octava. Et altro tanto da le basse cervice. Et da la summità dil pecto infine a le basse radice del capillo la sexta parte. Et da mezo il pecto insino a la summa vertice la quarta parte. Ma de la altitudine di epsa facie, la tertia parte è dal basso mento a le basse narisse. Il naso da le basse narisse al fine del mezo de li supercilii altrotanto, da quella fine ale basse radice del capillo dove la fronte si effice similmente è de una tertia parte. Ma il pede è la sexta parte del altitudine del corpo. Et il cubito la quarta parte, similmente il pecto de una quarta parte. Anchora li altri membri hano le sue commensuratione de la proportione, con le quali hano usato anchora li antiqui et statuarii nobili, a li quali sono asequiti magne etinfinite laude.

Ma similmente li membri de le sacre aede a la universa summa anchora de tuta la magnitudine, da ciascune parte debeno havere de la conmensuratione la convenientissima respondentia. An- chora il centro mediano del corpo naturalmente è lo umbelico, per che si lo homo serà collocato supino con le mane et pedi expansi et lo centro del circino serà collocto in lo umbelico di epso, circumfaciendo la rotundatione li digiti de l’una e l’altra mano et pedi, da la linea serano tacti. Non mancho sì como il schema de la rotundatione in lo corpo si efficie. Similmente la quadrata designazione in epso si trova. Per che si da li basi pedi al summo capo serà mensurato, et epsa mensura serà referta a le mane expanse, si trovarà quella medema latitudine, sì como la altitudine, per quel modo le arae che a la norma sono quadrate. Aduncha si la natura ha così composito il corpo del homo sì como con le proportione li menbri de epso respondeno a la summa figuratione.

Cum sia li antiqui si vedeno havere constituito quella aciò che anchora in le perfectione de ciascuni membri de le opere le figure habiano a la universa specie la exactione de la commensuratione. Aduncha cum sia che in ogni opere dasseno li ordini. Questo maximamente in le aede de li dei ne le quale le laude et le culpe de le opere soleno in aeterno permanere, non mancho le ratione de le mensure, quale in ogni opere si vedeno essere necessarie, le hano collecte da li membri del corpo sì como il digito il palmo il pede il cuiato et epse hano distribuite in lo perfecto qual Graeci dicono τελειον.”

Rappresentazione dell'Homo vitruviano  “humani corporis mensura”, trattata da Cesare Cesariano De architectura 1521 volume a stampa, Milano
Rappresentazione dell'Homo vitruviano “humani corporis mensura”, trattata da Cesare Cesariano De architectura 1521 volume a stampa, Milano

Come si può facilmente notare, Vitruvio prende a modello costruttivo il corpo umano. Ma non un corpo umano qualsiasi, bensì quello che lui indica come corpo dalle fattezze ideali e lo tiene a riferimento non solo nel campo dell’architettura, ma anche per la costruzione delle città (mansio e castella), dei porti e persino dei templi dedicati agli Dei.

Così, per Vitruvio, il palmo rappresenta un ventiquattresimo del corpo umano, la testa un ottavo, il piede un sesto, il cubito (ovvero l’avambraccio) un quarto, il petto anch’esso un quarto e il centro del corpo umano è da trovare nell’ombelico. Se un uomo fosse messo supino, con mani e piedi stesi, e gli venisse messo un compasso nell’ombelico, il cerchio tracciato toccherebbe le dita delle mani e dei piedi. E così come è possibile inscrivere un corpo in un cerchio, allo stesso modo è possibile inscriverlo in un quadrato. Se si prenderà la misura dai piedi fino alla sommità del capo e la stessa misura verrà rapportata a quella delle braccia distese, l’altezza sarà uguale alla larghezza, così come avviene nel quadrato.

Alle stesse conclusioni sarebbe giunto anche Plinio il Vecchio (Como, 23 – Stabia, 79), che nella sua Naturalis historia scrive che “si osservò che la distanza che in un uomo va dai piedi fino alla testa è la stessa che c’è tra le dita delle mani a braccia distese”.

Il fatto che anche Plinio dedichi alcune righe a questo argomento è un particolare di non poco conto.

La sua Naturalis historia viene tradotta dal grande umanista Cristoforo Landino tra il 1472 e il 1474, e la traduzione sarebbe stata pubblicata a Venezia in tre diverse edizioni (1476, 1481 e 1489).

Volendo poi dare un senso e delle dimensioni precise al vero Homo vitruviano, basta applicare alle proporzioni citate nel canone vitruviano una unità di misura. 

A quei tempi Augusto, l’imperatore che rivoluzionò l’urbanistica dell’Impero dando delle regole semplici ma precise, unificò su tutto l’impero romano l’unità di misura corrispondente al piede di esattamente una lunghezza paragonata al nostro sistema metrico di misurazione pari a cm. 29,6. 

Tale unità fu depositata per ufficializzarne la sua importanza, nel Tempio Moneta, tanto che prese il nome di Pes Monetalis. 

Vitruvio, contemporaneo di Augusto ed a lui devoto, lo stimava a tal punto da citarlo in ognuno dei suoi 10 libri per non dire in quasi ogni capitolo, nel interpretare e scrivere il canone relativo “homo bene figuratus” prese come riferimento quella unità di misura.

 

Quindi l’altezza totale del vero Homo Vitruviano corrispondente a sei piedi è di: 

6 x 29,6 = 177,6 cm.

- quattro palmi fanno un piede pertanto un palmo corrisponde a;

29,6 : 4 = 7,4 cm.

- ne consegue che ventiquattro palmi fanno l’altezza totale dell’Homo;

24 x 7,4 = 177,6 cm.

- sei palmi fanno un cubito; 

6 x 7,4 = 44,4 cm. 

- ne consegue che quattro cubiti fanno l’altezza totale dell’Homo

4 x 44,4 = 177,6 cm.

- la lunghezza della mano dall’articolazione alla punta del dito medio è un decimo dell’altezza totale dell’Homo; 

177,6 : 10 = 17,76 cm. 

- la faccia dal mento alla sommità dei capelli è l’ottava parte dell’altezza totale dell’Homo;

177,6 : 8 = 22,2 cm.

- la faccia dal mento all’attaccatura dei capelli è la decima parte dell’altezza totale dell’Homo 

177,6 : 10 = 17,76 cm.

- la distanza tra il mento e sotto le narici e la terza parte della distanza tra il mento e l’attaccatura dei capelli;

17,76 : 3 = 5,92 cm.

- lo stesso dicasi per la distanza da sotto le narici a sopra le ciglia; 

17,76 : 3 = 5,92 cm.

- lo stesso dicasi da sopra le ciglia all’attaccatura dei capelli;

17,76 : 3 = 5,92 cm.

- quindi ne rimane che la distanza tra l’attaccatura dei capelli e la sommità del capo è la differenza tra 22,2-17,60 = cm. 4,60

- la misura dalla sommità del petto e l’attaccatura dei capelli corrisponde alla sesta parte dell’altezza totale dell’Homo 

177,6 : 6 = 29,6 cm.

- poi rimane la misura dalla metà del petto alla sommità del capo che corrisponde alla quarta parte dell’altezza totale dell’Homo 

177,6 : 4 = 44,4 cm.

 

Una cosa balza subito agli occhi: analizzando il capitolo in questione e conoscendo la storia riguardante l’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci, (Vinci, 1452 – Amboise, 1519) sorprende come all’interno del testo scritto da Vitruvio manchi totalmente un passaggio che invece il genio fiorentino riporta nella sua versione e che di seguito viene evidenziato in grassetto:

“Vitruvio architetto mette nella sua opera d’architettura chelle misure dell’homo sono della natura disstribuite in questo modo. Cioè, che 4 diti fa un palmo e 4 palmi fa un piè; 6 palmi fa un cubito, 4 cubiti fa un homo, e 4 cubiti fa un passo, e 24 palmi fa un homo; e cqueste misura son ne’ sua edifizi. Se ttu apri tanto le gambe che ttu chali da chapo 1/14 di tua alteza, e apri e alza tanto li bracci che colli lunghi diti tu tochi la linia della sommità del chapo, sappi che ‘l cientro delle stremita delle aperte membra fia il bellicho. E llo spatio che ssi truova infra lle gambe fia triangolo equilatero”.

Le parole sopra riportate sono quelle con cui Leonardo da Vinci apre la descrizione del celeberrimo Uomo vitruviano, nelle cinque righe che si trovano nella parte alta del foglio conservato alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Leonardo da Vinci, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio - Uomo vitruviano 1490 circa, Venezia
Leonardo da Vinci, Le proporzioni del corpo umano secondo Vitruvio - Uomo vitruviano 1490 circa, Venezia

Sappiamo per certo che Leonardo possedeva una copia della traduzione del De architettura è dunque possibile ipotizzare che il genio di Vinci fosse entrato a contatto con il canone vitruviano attraverso la mediazione di Plinio.

Certo è che, negli stessi anni, il trattato di Vitruvio diventa oggetto di particolare attenzione da parte di artisti e umanisti. 

Nel 1450, Leon Battista Alberti, nello scrivere il suo De re aedificatoria, aveva ripreso anche l’impianto su dieci Libri del De architectura, e qualche anno più tardi (tra il 1461 e il 1464) anche il Filarete avrebbe tratto importanti suggestioni dallo scritto di Vitruvio per il suo Trattato di architettura. 

Se la prima edizione a stampa del De architectura, curata da Giovanni Sulpicio Verulano, risale verosimilmente al 1486 o comunque a un anno non posteriore al 1490, più o meno allo stesso periodo è possibile datare la prima traduzione in volgare, a opera di un genio versatile quale era Francesco di Giorgio Martini (Siena, 1439 – 1501), che dedica all’opera molti anni di lavoro, con continue revisioni e aggiornamenti. 

Per alcuni studiosi la traduzione, contenuta nel Codice Magliabechiano oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, viene terminata nel 1487, mentre per altri sarebbe di alcuni anni posteriore. 

È interessante notare come, nel 1490, Leonardo e Francesco di Giorgio si fossero incontrati a Milano e a Pavia: in entrambe le occasioni i due lavorano nelle cattedrali delle due città. Gli scambi reciproci tra questi grandi artisti, come Leonardo, anche Francesco di Giorgio è pittore, scrittore, architetto, ingegnere, sono ancora oggetto di studio ma, conoscendo i due, possiamo sicuramente affermare che l’incontro dovesse essere particolarmente significativo.

I due artisti sono legati, tra le altre cose, dal comune tentativo di offrire una rappresentazione grafica del canone vitruviano.

Certo, né a Leonardo né a Francesco spetta il primato. 

La prima rappresentazione di un uomo inscritto in un cerchio è più antica, e la si può trovare nell’opera di un ingegnere senese vissuto tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento, Mariano di Jacopo detto il Taccola (Siena, 1381 – 1453/1458), che tra il 1419 e il 1450 aveva lavorato a un importante trattato di ingegneria, il De ingeneis

Non sappiamo se Leonardo conoscesse questo disegno, è invece probabile che lo conoscesse Francesco di Giorgio, ma si tratta comunque di un’opera che ha presupposti diversi rispetto a quella, più moderna, realizzata da Leonardo circa settant’anni più tardi.

L’Uomo vitruviano di Leonardo risale infatti a un anno attorno al 1490.

Leonardo propone una soluzione diversa dalle precedenti: il centro esatto del cerchio questa volta è l’ombelico, come suggeriva Vitruvio, ma il quadrato e il cerchio non condividono lo stesso centro.

Leonardo, per realizzare questo, opta per due diverse pose: una in cui l’uomo è raffigurato in piedi e con le braccia distese, così che la sua altezza e la larghezza delle braccia corrispondano ai lati del quadrato, e una in cui è supino, con braccia e gambe divaricate, a toccare in quattro punti diversi la circonferenza del cerchio.

Questo però ha comportato che le proporzioni della figura dell’Uomo vitruviano di Leonardo, non potevano più essere esattamente quelle riportate da Vitruvio.

Leonardo, nella descrizione del disegno, introduce alcune aggiunte e modifiche.

Per Leonardo, per esempio, il piede corrisponderebbe a un settimo dell’altezza dell’uomo (invece che a un sesto come sosteneva Vitruvio), e la misura dalla pianta del piede al ginocchio costituirebbe un quarto dell’altezza (indicazione non presente in Vitruvio.

Al 1521 risale invece la prima edizione a stampa della traduzione italiana del De architectura, curata da Cesare Cesariano (Milano, 1475 – 1543).

La sua illustrazione è una delle più curiose ed interessanti interpretazioni dell’Uomo vitruviano, ma soprattutto la prima che interpreta esattamente il pensiero ed il codice Vitruviano in quanto il quadrato è perfettamente inscritto nel cerchio.

L’uomo che troviamo nel libro di Cesariano distende in diagonale braccia e gambe in modo che le mani e i piedi tocchino al contempo gli angoli del quadrato e quattro punti diversi della circonferenza, con l’ombelico a fare da centro sia del quadrato, in quanto si trova all’esatto incrocio delle due diagonali, sia del cerchio. L’illustrazione, la cui idea viene comunque attribuita da Cesariano a un nobile di nome Pietro Paolo Segazone, di cui però sappiamo ben poco.

Un’ulteriore novità introdotta da Cesariano è il pene ben eretto, che è stato variamente interpretato, ma potrebbe essere un tentativo di conciliare i due centri delle raffigurazioni leonardesche, con il membro rivolto verso l’ombelico.

Se infatti osserviamo l’uomo inscritto nel quadrato nel disegno di Leonardo, notiamo come il centro della figura cada all’altezza del pene.

Non andrebbero comunque escluse a priori interpretazioni simboliche, e forse di attribuire all’oggi sconosciuto Segazone l’idea della raffigurazione potrebbe essere un espediente che Cesariano ha utilizzato per evitare noiose grane.

Ma torniamo al disegno di Leonardo.

Per comprenderne il significato può essere interessante partire da un brano di Manfredo Tafuri, che così scriveva nel 1978: “in questo disegno si visualizza il microcosmo dell’uomo, tema caro alla tradizione platonica e neoplatonica, in rapporto all’ordine del cosmo e a quello creato ex novo dall’architettura”.

Gli artisti che si erano cimentati col canone vitruviano non intendevano soltanto risolvere dei problemi di carattere pratico, ovvero fornire canoni per la misurazione (non dimentichiamo che anticamente le unità di misura erano parti del corpo umano: il piede, il cubito, il palmo...), oppure definire le corrette proporzioni per la rappresentazione dell’uomo in pittura e in scultura e rapportarle, in architettura, alle proporzioni degli edifici: i tentativi di soddisfare il canone vitruviano avevano anche importanti risvolti simbolici.

Che l’uomo fosse un “microcosmo” era un’idea riportata anche dello stesso Leonardo, che in un suo scritto si esprime in questo modo: “l’omo è detto dalli antiqui mondo minore”.

Si tratta di una teoria che, come Leonardo spiega, aveva avuto origine nel mondo antico: tuttavia, aveva conosciuto moltissimi interpreti in tutte le epoche, fino a raggiungere il Rinascimento.

Alla base delle diverse declinazioni della cosiddetta teoria del microcosmo vigeva la convinzione che l’uomo fosse il riflesso di un ordine superiore, quasi un’entità che reca in sé gli elementi che compongono il mondo intero.

Il cerchio e il quadrato devono essere dunque letti in chiave simbolica, anche sulla base delle riletture cristiane della teoria del microcosmo: il cerchio sarebbe allusione alla sfera divina, mentre il quadrato rappresenterebbe il mondo terreno. L’uomo, a metà tra divino e terrestre, sarebbe un elemento di raccordo capace di unire i due mondi.

In questo senso vanno dunque letti i primi tentativi di inscrivere l’uomo in un cerchio e in quadrato perfettamente sovrapponibili.

Dicevamo che l’Uomo vitruviano del Taccola era mosso da presupposti diversi rispetto a quello di Leonardo: il Taccola era infatti ancora legato a questo modo di intendere l’uomo.

Si trattava, potremmo dire, di una sorta di commistione tra umanesimo e cristianesimo che, pur rifacendosi alla tradizione degli antichi, individuava comunque nell’uomo l’immagine di Dio e, di conseguenza, anche gli edifici e le altre opere costruite in rapporto alle misure del corpo umano dovevano essere considerate quasi come una manifestazione della volontà divina.

Questo modo di pensare è ben esemplificato dal commento che appare sotto l’Uomo vitruviano del Taccola e che, tradotto dal latino, significa: “Colui che niente ignora mi creò. E io reco in me ogni misura: sia quelle del cielo, sia quelle della terra, sia quelle degli inferi. E chi comprende sé stesso ha nella sua mente moltissime cose, e ha nella sua mente il libro degli angeli e della natura”. 

L’uomo che è inscritto nel cerchio e nel quadrato è dunque la creatura capace di mettere in armonia il cielo e la terra.

Tuttavia in Leonardo, come abbiamo visto, quadrato e cerchio appaiono disallineati e pertanto, vengono meno gli intenti simbolici di cui si è parlato.

Ne viene anche la necessità di evidenziare la differente interpretazione che è stata fornita dai due principali architetti citati: da una parte Leonardo Da Vinci, dall’altra Cesare Cesariano.

Iniziamo con il dire che Leonardo da Vinci interpretò alla sua particolare maniera il capitolo I del terzo Libro inserendo, quasi a giustificare la sua versione, un passaggio che non si trova nella versione originale del De architectura, che, come già riportato, è il seguente:

“Se ttu apri tanto le gambe che ttu chali da chapo 1/14 di tua alteza, e apri e alza tanto li bracci che colli lunghi diti tu tochi la linia della sommità del chapo, sappi che ‘l cientro delle stremita delle aperte membra fia il bellicho. E llo spatio che ssi truova infra lle gambe fia trian- golo equilatero”.

Seguendo in maniera puntuale le indicazioni forniteci da Leonardo, l’uomo che si viene a disegnare non ha nulla di vitruviano: non rispetta né le proporzioni perfette dettate da Vitruvio (esempio lampante ne è l’altezza di quest’uomo che, secondo Vitruvio, è di sei piedi, mentre per Leonardo diventa di sette), né il concetto che Vitruvio voleva trasmettere, ovvero che al centro del cerchio (che identifica il Macrocosmo, quindi l’Universo e di conseguenza il Divino) c’è il quadrato (che null’altro sono che il Microcosmo e la Terra) e che l’uomo dalle dimensioni perfette regalategli dal Divino, è l’anello di congiunzione tra i due Cosmi e l’ombelico null’altro è che il centro di entrambi.

Leonardo da Vinci, forsanche perché impostogli dalla “Grande Chiesa”, attingendo dalla sua grande genialità e concentrandosi sullo studio delle proporzioni reali dell’uomo in natura, un po’ furbescamente riuscì a far “scivolare” il quadrato fuori dal cerchio.

In questo modo l’ombelico dell’uomo non era più il centro di entrambi ma spostò il centro del quadrato in corrispondenza dei genitali della figura umana.

Così si giungeva a “giustificare” uno dei possibili motivi per cui, sempre secondo la “Grande Chiesa”, l’uomo venne creato in terra dal Divino per la riproduzione e lasciare spazio a Gesù Cristo di sostituirsi all’uomo come vero anello di collegamento tra Microcosmo e Macrocosmo, tra Terra e Divino.

Questo è quanto ci è stato tramandato su quella che possiamo definire la versione di Leonardo. 

 

Ma nella versione di Cesariano?

La figura di Cesariano è controversa: fu un pittore e architetto vissuto tra il 1475 e il 1543 e quindi contemporaneo di Leonardo Da Vinci, conosciuto come un teorico dell’architettura che si cimentò nello studio del De architectura e poi, nel 1521, nella sua difficile traduzione in italiano volgare.

La sua, però fu una traduzione che non incontrò troppo il favore dei signori dell’epoca a tal punto da essere praticamente dimenticata.

Alla sua versione fu “preferita” quella realizzata da Monsignor Daniele Barbaro, noto per essere stato eletto Patriarca d’Aquileia a Venezia nel 1556.

Eppure fu l’unico che, nelle varie tavole illustrative della traduzione, ebbe l’ardire di interpretare il concetto della teoria di Vitruvio.

In che modo?

Disegnando quello che possiamo definire il “Vero Uomo vitruviano” ponendo la figura umana non solo al centro del cerchio, ma anche del quadrato.

 

E l’ombelico?

L’ombelico – e di conseguenza l’uomo – è perfettamente centrale alle due figure geometriche cosa che si differenzia dall’uomo disegnato da Leonardo Da Vinci che, come abbiamo già detto, risultò più incline alla visione ecclesiastica del momento e di conseguenza più accolto con benevolenza dai signori del tempo.

Forse fu proprio questo motivo che di Leonardo Da Vinci sappiamo praticamente tutto, una figura geniale a cui la storia, giustamente, rende omaggio, ma, al contempo e colpevolmente, ha contribuito a far dimenticare il “povero” Cesare Cesariano.


Pochi giorni prima della presentazione ufficiale del mio libro Le fonti misteriose di Vitruvio organizzata il giorno 27.04.2019  in cui ho dedicato un intero capitolo sullo studio del vero Uomo vitruviano, dopo essermi confrontato con la Signora Valeria Dott.ssa Poletto che assieme alla Signora Perissa Dott.ssa Torrini, sono state le curatrici della mostra Leonardo Da Vinci. L’uomo modello del mondo”, Le stesse hanno ritenuto opportuno organizzare una conferenza stampa con tutti i giornalisti in cui rendevano noto che effettivamente da recenti studi si può sostenere che l’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci sia nato da un errore. 

Di seguito si riporta un pezzo dell’articolo pubblicato dal giornale La Nuova di Venezia e Mestre in data 16/04/2019.

 

16 Aprile, 2019

Leonardo in mostra, la magnifica perfezione "errata" dell'Uomo Vitruviano

 

Sì, in qualche modo possiamo dire che l'Uomo Vitruviano, con le sue magnifiche proporzioni sia nato da un errore. È stato ormai recentemente accertato che Leonardo abbia lavorato su un manoscritto "guasto"  che riportava dati errati: ovvero, che per Vitruvio il piede corrispondesse a un settimo dell'altezza dell'uomo ideale, quando invece era un sesto.

Credevamo che Leonardo avesse fatto una correzione volontaria: il piede dell'Uomo di Leonardo - quello sinistro disegnato così ritorto, proprio perché riferimento per tutte le proporzioni - è infatti lungo 26 centimetri e Leonardo lo moltiplica quindi per 7, per raggiungere l'altezza ideale dell'uomo vitruviano,  180 centimetri. Quello dell'Alberti, invece, era giustamente di 30 centimetri, che moltiplicato per sei fa esattamente 180 cm. Ma non si è trattato di una correzione volontaria di Leonardo, ma di una fonte "guasta": sì, si potrebbe dire che tutto è nato da una fake news".

 

Annalisa Perissa Torrini parla con i giornalisti davanti al disegno più conosciuto al mondo "L'Uomo Vitruviano", patrimonio delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, che per tre mesi rivede la luce - e il pubblico - dopo cinque anni di "terapia del buio" nel caveau del museo, come prevede il rigido protocollo per la conservazione del capolavoro leonardesco.

Perissa Torrini e Valeria Poletto sono, infatti,  le  curatrici della mostra "Leonardo da Vinci. L'uomo modello del mondo", con la quale le Gallerie dell'Accademia celebrano il genio nei 500 della sua morte: fino al 14 luglio, si potrà così ammirare il disegno-icona, affiancato dai 25 fogli autografi di Leonardo nel patrimonio delle Gallerie: "I disegni erano lavori personali di Leonardo, fatti per sé, non per la vendita, per questo ci sono annotazioni, studi che documentano tutto l'arco delle sue attività e curiosità, le ricerche scientifiche - come particolari del midollo osseo - studi d'armi, bozzetti della battaglia di Anghiari, studi di meccanica, fisica, botanica e naturalmente quelli sulla proporzione del corpo umano".

 

Perché è così famoso l'Uomo Vitruviano?  "Abbiamo due figure geometriche , un quadrato e un cerchio che al primo sguardo appaiono concentriche. Per Vitruvio, il quadrato rappresenta la terra e il cerchio il cielo. Al centro del cerchio troviamo così l'ombelico, origine spirituale dell'uomo; al centro del quadrato, Leonardo pone i genitali, origine terrena dell'uomo. Quello che rende il tutto in un'immagine perfetta è il rapporto armonico della sezione aurea, che Leonardo fonde in un unicum che rimane insuperato, con  questa centralità dell'uomo sia nel microcosmo, la terra, sia nel macrocosmo, il cielo, la spiritualità. Nella piena lettura dell'Umanesimo: Leonardo è fiorentino e si è  formato nell'orto dei medici di Lorenzo il Magnifico".

 


BIBLIOGRAFIA 

  • Annalisa Perissa Torrini : l’Uomo vitruviano fra arte e scienza, catalogo della mostra (Venezia, Gallerie dell’Accademia, 10 ottobre 2009 - 10 gennaio 2010), Marsilio, 2009.
  • Annalisa Perissa Torrini : l’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci fra arte e scienza, Giunti 2018.
  • Andrea Bernardoni, Leonardo e il monumento equestre a Francesco Sforza, Giunti, 2007.
  • Paola Salvi : Approfondimenti sul’Uomo vitruviano, Atti del Convegno, (Milano 4-5 maggio 2011) , CB Edizioni 2012.
  • Pietro C. Marani, Giovanni Maria Piazza (a cura di), Il codice di Leonardo da Vinci nel Castello sforzesco, catalogo della mostra (Milano, Castello Sforzesco, 24 marzo - 21 maggio 2006), Mondadori Electa, 2006.
  • Giovanna Nepi Scirè, Pietro C. Marani (a cura di), Leonardo & Venezia, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grassi, 23 marzo 1992 - 5 luglio 1992), Bompiani, 1992.
  • Massimo Mussini, Il “Trattato” di Francesco di Giorgio Martini e Leonardo: il Codice Estense restituito, Quaderni di storia dell’arte, Università di Parma, 1991.
  • Fritz Saxl, Lectures, Warburg Institute, 1957 (pubblicato postumo). 

 

 

https://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2019/04/16/news/leonardo-la-perfezione-dell-uomo-vitruviano-in-mostra-fino-al-14-luglio-a-venezia-1.30196871/amp/ 

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