LE FONTI MISTERIOSE DI VITRUVIO

Non sarebbe possibile capire al meglio la storia raccontata nel mio libro, senza prima analizzare la figura fondamentale che nelle Centuriazioni romane ebbero, gli agrimensores, ovvero i misuratori di terra dell’antica Roma, che il più delle volte erano anche curator aquarum dei curatori delle acque.

Se dovessimo paragonarli a una professione a noi più vicina potremmo, con le debite differenze, paragonarli a dei geometri o ancora meglio, a degli architetti.

A quel tempo, infatti, queste importanti figure avevano un ruolo ben più importante di quanto possiamo immaginare: erano gli unici incaricati a suddividere gli appezzamenti di terra disponibili e dovevano farlo seguendo un piano prestabilito che fosse il più equo possibile. 

Ricoprivano una funzione importante che necessitava un’abilità tale che, almeno fino alla fine del XVIII secolo, non si trova più traccia di figure deputate a svolgere un ruolo simile.

C’è da dire, però, che secondo gli studi effettuati non furono i romani i primi ad avvalersi di soggetti di questo tipo: qualcosa di simile si trova fin dall’antica Babilonia e anche le dinastie egizie si narra abbiano fatto uso di persone incaricate a svolgere questa professione. Storicamente, infatti, definire con precisione un confine poteva assumere una valenza religiosa: a tal proposito nel Deuteronomio (il quinto libro della Bibbia) si legge: “Maledetto chi sposta i confini del suo prossimo” (Dt 27,17). 

 

 

 

Ma perché i romani ritennero necessario avvalersi degli agrimensores e dei curator aquarum? È presto detto.

Quando venivano conquistati nuovi territori, le zone agricole erano divise in tre parti: la prima rimaneva di proprietà dello stato ager publicus, la seconda veniva lasciata ai vinti, mentre la terza era data ai soldati.

Ecco spiegata la necessità di dividere il terreno in parti il più eque possibile: per ottenere questo risultato, veniva utilizzato il metodo della Centuriazione, ovvero la suddivisione dei terreni in parti uguali.

Come logica conseguenza, i terreni dell’agro pubblico veniva suddivisa in quelle che oggi potremmo definire mappali. 

Per realizzare una centuriazione era anche determinante sia scoprire le fonti d’acqua e le loro proprietà sia essere in grado di convogliarle all’interno di una rete idrica urbana.

Tutte nozioni che poi si sarebbero rivelate fondamentali per la formazione della figura degli antichi architetti romani.

Lo stesso Vitruvio fu consulente di Agrippa quando questi ricoprì l’incarico di curator aquarum. 

Durante l’Impero, a conferma dell’importanza degli agrimensores, e dei curator aquarum venne istituita una vera e propria scuola dove venivano insegnate molte materie tra cui la geometria delle aree, l’orientamento o la tecnica di traguardare, ma anche lo status dei differenti tipi di terra, le tecniche usate per la centuriatio, la definizione dei confini la distribuzione di terra, la conoscenza sulle acque, l’arte di disegnare una mappa senza dimenticare la cosmologia o l’astronomia.

Come abbiamo visto, dunque, gli agrimensores ed i curator aquarum, erano delle figure fondamentali per l’Impero romano così come noi lo conosciamo oggi.

Talmente importanti che, nel V secolo d.C., venne istituita una corposa raccolta di opere di agrimensura chiamata Corpus Agrimensorum (Romanorum) conosciuta anche con il nome di Gromatici veteres

Questa raccolta, giunta a noi con testi spesso alterati o frammentari anche a causa di trascrizioni realizzate da soggetti poco pratici della difficile terminologia latina usata, venne pubblicata in due volumi nel XIX secolo a cura di K. Lachmann. 

Il primo scrittore tecnico del Corpus fu Sesto Giulio Frontino, una figura davvero particolare: governatore della Britannia probabilmente dal 74 al 78 d.C., nel 97 fu nominato sovrintendente delle acque di Roma e sotto Nerva fu autore di alcuni lavori riguardanti la strategia e il rifornimento di acqua per la Capitale.

Sotto Traiano completò anche un minuzioso libro riguardante l’approvvigionamento idrico della città giunto a noi praticamente integro. 

Il ruolo degli agrimensores, molti dei quali avevano cominciato come geometri militari, non terminò con la caduta dell’Impero d’Occidente, anzi.

Si trattava di un’organizzazione talmente precisa e accurata capace di lasciare la sua impronta per moltissimo tempo: la terra andava misurata, distribuita in maniera appropriata e registrata nei suoi particolari così da offrire una documentazione precisa. 

Come detto i romani non furono gli unici a voler misurare con precisione le terre controllate: indicazioni simili si trovano anche nelle civiltà più antiche dell’Oriente (a Babilonia, ad esempio, si utilizzavano i kuduru, pietre votive dove venivano registrati i confini esatti) e anche gli egizi decisero di affidarsi a figure equivalenti agli agrimensori per ripristinare i confini soprattutto dopo le annuali inondazioni del Nilo capaci di stravolgere i territori.

I greci, invece, anche a causa dell’assenza di grandi estensioni di terra piana arabile e con le città-stato fondate in luoghi scelti per la loro facilità da difendere, non si trovarono subito con la necessità di dividere gli appezzamenti in forme regolari.

Discorso differente, invece, quando vennero fondate nuove colonie: in questo caso l’istitutore non solo doveva preoccuparsi di procurarsi i sacerdoti necessari per instaurare il culto del dio e della dea padrone della città, ma doveva pensare anche degli agrimensori per suddividere la nuova terra tra la pianificazione urbana e quella fondiaria.

Esempio lampante di questa nuova necessità è Selinunte (in greco Σελινοῦς, in latino Selinus), antica città greca situata sulla costa sud-occidentale della Sicilia: se si osservano le strade, queste ricordano molto da vicino i cardini e i decumani romani. 

I greci furono quindi dei precursori dei romani a cui gli eredi di Romolo si ispirarono? Sarebbe un azzardo: se sono stati diversi, infatti, gli studi che hanno evidenziato come in Italia le strisce parallele venissero utilizzate ben prima dell’egemonia romana, questo non è sufficiente per stabilire con assoluta certezza che i romani si siano limitati a “copiare” i coloni greci dell’Italia meridionale. 

Misurare la terra era considerata da parte dei romani una pratica molto antica: basti pensare che Ovidio faceva risalire questa usanza all’Età del Ferro, l’ultimo periodo riguardante la creazione del mondo e inserito all’interno del libro della Metamorfosi.

Questa età era collocata prima del grande diluvio e già allora, secondo il poeta romano, i terreni venivano misurati attraverso i limites.

In realtà l’agrimensura romana potrebbe invece risalire più facilmente al periodo degli etruschi.

A raccontarcelo è il già citato Sesto Giulio Frontino che nel Corpus afferma come Varone indichi che il limites avesse origine dai libri rituali degli antichi abitanti dell’Etruria.

In particolare racconta che gli aruspici rivolgessero lo sguardo verso occidente e dividessero la zona in quattro parti; la “sinistra antica”, la “dextra antica”, la “sinistra postica” e la “dextra postica”.

Sui termini “antica” e “postica” potrebbero essere sollevato qualche dubbio: si tratterebbe, infatti, di vocaboli in quel periodo oramai caduti in disuso e quindi il sospetto è che quanto riportato nel Corpus non corrisponda a una esatta traduzione. 

Ma gli incroci tra i romani e gli etruschi non si fermano certo qui. La stessa “groma”, ad esempio, è di derivazione etrusca, così come “acnua” che ha lo stesso significato di "actus quadratus".

Anche in questo caso, così come con i coloni greci, non è però, sufficiente per poter definire con certezza che la scelta di suddividere i territori in centuriazioni sia di origine etrusca. 

Con certezza, invece, si può affermare che fu sotto Augusto che le centuriazioni iniziarono a rispecchiare un sistema organizzativo ben preciso.

Non solo il nome dell’imperatore romano ricorre spesso nel Corpus, ma Igino Gromatico (in latino: Hyginus Gromaticus fine I secolo d.C. – metà II secolo d.C.)  scrittore ed agrimensore romano, riporta anche di un’ordinanza in cui lo stesso Augusto fissava con precisione le dimensioni dei limites

L’agrimensore si posizionava nel punto prescelto con lo sguardo rivolto verso ovest e definiva il territorio: con il nome ultra chiamava ciò che vedeva davanti, citra quanto aveva alle spalle, dextera quello che vedeva alla sua destra e sinistra quanto scorgeva alla sua sinistra. 

Successivamente l’agrimensore impostava la centuriazione, o ager centuriatus organizzazione fondiaria che, analogamente agli insediamenti, individuava un umbilicus agri da cui, mediante una groma, tracciava due assi stradali perpendicolari tra loro: il primo generalmente in direzione est-ovest, chiamato Decumano massimo, il secondo in direzione nord-sud, detto Cardine massimo.

Sotto l’egemonia di Augusto si assiste a una grande fioritura architettonica che porterà alla nascita del De architectura, il famoso trattato in dieci volumi a firma di Marco Vitruvio Pollione, ovvero Marcus Vitruvius Pollio vissuto tra l'80 a.C. e il 23  a.C., unico testo sull’architettura giunto integro dall’antichità diventando una delle principali fonti della moderna conoscenza legata ai metodi costruttivi degli antichi romani e fondamento teorico dell’architettura occidentale dal Rinascimento alla fine del XIX secolo.

La scoperta che diversi studiosi si erano cimentati sul tema giungendo però a ipotesi diverse e non definitive, mi ha fatto pensare che ci fosse spazio anche per una mia personale proposta, cosa che mi ha fatto scattare la scintilla. 

Lo stesso Dante Alighieri nella Divina Commedia nel canto XXVI dell’Inferno fa dire a Ulisse “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” ponendo la conoscenza il presupposto base per la valutazione di una persona.

A volte, però, la sete di conoscenza non basta, ma ci vuole una scintilla, una fiammella che accenda in noi la voglia di sapere. 

Aiutato dalla mia pur conclusa professione di perito edile e dalla competenza in topografia, dai membri dell’Associazione Memorie Tricesimane di cui faccio parte ho considerato di trovare la soluzione del problema dell’individuazione dei nodi della centuriazione romana dell’Agro tricesimano usando come chiave di lettura l’Uomo Vitruviano come delineato nel trattato De architectura del famoso architetto e scrittore romano Marco Vitruvio Pollione, attivo nella seconda metà del I secolo a.C.. 

Relativamente alle centuriazioni di questo periodo, infatti, esiste già una corposa bibliografia realizzata da studiosi, professori ed esperti in materia.

Il tutto, però, si basa su una documentazione originale giunta a noi in maniera incompleta e che quindi si prestava facilmente a diverse interpretazioni. 

Servendomi nella ricerca anche degli ausili che la moderna tecnologia elettronica mette a disposizione, sono giunto all’esatta definizione sul territorio dei punti d’intersezione del reticolo agrario romano. 

La sorprendente scoperta è stata che la maggior parte di queste posizioni sono luoghi dove sono ubicate sorgenti o fonti d’acqua di solito potabile. 

 

 

 

La mia tesi trova conferma dal fatto che applicando tutti i concetti riportati sul De architettura di, compreso la descrizione degli strumenti di misurazione non ultimo l’odometro e la meridiana piana, sono partito da Aquileia e percorrendo esattamente il tracciato che gli antichi romani avevano individuato, sono arrivato – anche grazie alle testimonianze assunte dalle persone di un tempo – fino al XXX miglio luogo dove è stata costruita la prima Mansio dopo Aquileia.

Dopo aver individuato l’ombelico della centuriazione e scomposto l’Agro tricesimano secondo le misure e proporzioni dell’Uomo vitruviano, ho scoperto che in corrispondenza di tutte le intersezioni dei tracciati necessari per costruire i Cardini ed i Decumani c’erano, oltre a tantissime sorgenti di acqua purissima anche delle inconfutabili collinette a volte appositamente create per poter diventare delle postazioni gromatiche.

Oltre a ciò lungo tali tracciati ed a distanze ben prestabilite sono presenti anche delle prove inconfutabili della presenza in sito del passaggio dei Cardini e Decumani compresi quelli maggiori.

Inoltre sempre con lo stesso concetto delle proporzioni sulle misure dell’Uomo vitruviano e della meridiana piana, sono partito dal XXX miglio ed ho percorso dettagliatamente tutto il tracciato che i romani fecero per arrivare alla seconda Mansio quella di Iulium Carnicum che dista esattamente altre trenta miglia romane.

Anche lungo questo percorso ho rilevato inconfutabili reperti archeologici a dimostrazione della presenza delle stazioni gromatiche.

Con questo studio, non voglio limitarmi ad approfondire quanto è già stato detto sulle centuriazioni romane, ma ho un ben più ambizioso obiettivo: far conoscere di più Marco Vitruvio Pollione e il suo famosissimo trattato De architectura, ma soprattutto ridare dignità a una figura colpevolmente dimenticata perché, si direbbe ora, non “allineata”, ovvero Cesare Cesariano, controversa figura del XV secolo, vissuta tra il 1475 e il 1543. 

Cesare Cersariano (Ciseriano)  era un architetto e pittore italiano nonché un teorico dell’architettura contemporaneo di Leonardo Da Vinci e anche lui si cimenta nello studio del De architettura.

Fu il primo che si cimentò a tradurre in italiano volgare, usato a quel tempo, il De architectura ed il secondo illustratore del testo. (La prima fu l’edizione latina illustrata da Fra’ Giocondo nel  1511 ed è di gran lunga più rozza).

La sua traduzione però non incontrò il favore dei signori dell’epoca e finì, invece, per essere praticamente dimenticata dai più.

 

È anche l’unico che, nelle varie tavole illustrative, ebbe l’ardire di interpretare il concetto della teoria di Vitruvio. In che modo?

Disegnando quello che possiamo definire come il "VERO" Homo Vituviano: l’uomo non solo è al centro del cerchio, ma anche del quadrato. E l’ombelico?

A differenza dell’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci (più incline alla visione ecclesiastica del momento), l’ombelico – e di conseguenza l’Homo – è perfettamente centrale alle due figure geometriche. 

 

Il suo Homo vitruviano  è risultato determinante perché, riportando e raffigurando l’esatta descrizione del canone Vitruviano riportato nel Libro terzo cap. I ha rappresentato il vero concetto di come, secondo Vitruvio, in natura era stato creato, e pertanto come anche gli architetti, agrimensori del tempo dovevano costruire, ovvero secondo le regole della perfezione ed armonia. 

 

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